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Il sogno ameriKano 

A quante altre guerre dovremo assistere per rimandare l'inevitabile?

G.

Tassi USA verso il doppio rialzo

Tassi Usa verso un doppio rialzo
Scontato il ritocco di domani, gli operatori interpellati da «Il Sole 24 Ore-Radiocor» scommettono su un secondo intervento prima di Natale.



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La Federal Reserve si prepara a dare un altro piccolo giro di vite al costo del denaro nella riunione di domani del Federal Open Market Committee (Fomc). Gli analisti si aspettano un rialzo di un quarto di punto del tasso di interesse overnight sui Fed Funds, che passerebbe dall'1,75 al 2 per cento. La mossa è
data per sicura dopo i dati positivi sull'occupazione di ottobre, con 337mila posti di lavoro in più. Sarebbe il quarto rialzo consecutivo di un quarto di punto, in linea con la politica di graduale stretta monetaria avviata dalla
Fed per riportare i tassi a un livello «neutrale», ovvero nè di stimolo nè di freno per la crescita economica. «Se c'era qualche dubbio sulla prossima riunione della Fed, questo è svanito», dice Tim O' Neill, capo economista
della Bank of Montreal. Gli interrogativi riguardano invece le mosse di dicembre e del prossimo anno. Con i tassi al 2%, la Fed non sarà nemmeno a metà del suo cammino di normalizzazione, partito da un livello dell'1 per cento. Anche dopo un rialzo mercoledì, i tassi reali saranno al di sotto di
zero, considerando l'effetto dell'inflazione. Storicamente, il tasso sui Fed Funds è stato in media di tre punti al di sopra dell'inflazione. La questione adesso è con quale rapidità la Fed si muoverà verso un livello «neutrale»....


Il rischio è grande


di Paolo Savona


Il dollaro pare ripartire nella sua corsa verso il basso. Nell'intervista al Nobel Paul Samuelson di Mario Platero, pubblicata il 3 novembre sul Sole-24 Ore, due risposte sono in apparente contraddizione: in una si afferma che il deprezzamento del dollaro «anche marcato» è nelle cose e in un'altra che non sarà una svalutazione del dollaro nell'ordine del 20-30% «a portare chiarezza». In effetti non lo sono, perché il deprezzamento del dollaro di cui parla Samuelson deve ancora arrivare e ciò accadrà quando gli investitori stranieri (prima) e quelli americani (poi) perderanno la fiducia nella moneta americana e, rimpatriando o esportando capitali, causerebbero il drammatico evento. Non c'è Paese, per grande che sia, aggiunge l'autorevole economista, che possa sopportare una dura battaglia con il mercato. Il deprezzamento del dollaro, quello «anche marcato», è quindi un evento inevitabile, ma non risolverebbe i problemi di fondo che sono, a suo avviso, gli effetti su un disavanzo pubblico «già esplosivo» (la definizione è sua) delle maggiori spese per sanità e pensioni dovute all'allungamento della vita e "la spada di Damocle" del disavanzo dei conti con l'estero. Se gli Stati Uniti lasciassero veramente cadere il valore esterno del dollaro e il resto del mondo non facesse niente per impedirlo, si rischierebbe una "Hiroshima valutaria". Da troppo tempo gli Stati Uniti vivono al di sopra delle loro risorse, un privilegio che non è concesso a nessun Paese del pianeta, e possono farlo perché il resto del mondo ha interesse ad accettare questo stato di cose. Per due motivi. Perché preferisce tenere parte dei propri risparmi in dollari invece che in altre monete e perché le importazioni americane fungono da locomotiva dello sviluppo mondiale. Per soddisfare queste due preferenze il mondo accetta il rischio di un'esplosione valutaria e patisce le conseguenze in termini di perdita di competitività dovuta a un continuo indebolimento del dollaro. Tuttavia il lento bruciarsi della miccia, quella del deprezzamento già in atto, non è in grado di evitare l'esplosione. Tra il silenzio degli economisti e l'ignavia delle autorità il dollaro mette a repentaglio una parte non trascurabile dei risparmi del mondo ed espone l'economia globale a rischi di una nuova Grande Crisi.
Oltre trent'anni orsono gli Stati Uniti rinunciarono prima a far funzionare uno standard monetario globale, i diritti speciali di prelievo, proprio perché avrebbe ricondotto a disciplina anche il dollaro e i conti con l'estero degli Stati Uniti. Poi denunciarono l'Accordo di Bretton Woods, abbandonando la disciplina dei cambi fissi e quella della conversione a prezzi fissi del dollaro in oro. La versione ufficiale era che in tal modo si sarebbero protetti dalle cattive gestioni monetarie e fiscali altrui, che certamente esistevano ma riguardavano anche le loro gestioni, e che il cambi flessibili avrebbero riequilibrato i conti con l'estero di tutti. Oggi possiamo fondatamente affermare che le variazioni di cambio non hanno riequilibrato i conti con l'estero; anzi hanno palesato un trend crescente del deficit americano. Nonostante questa smentita gli Stati Uniti ripropongono di svalutare il dollaro invece che passare al più classico aggiustamento raccomandato da Samuelson, quello sulla domanda interna.
Inutile che al di là e al di qua dell'Atlantico si continui a girare attorno al problema. Se il mondo è disposto ad accettare il disavanzo di parte corrente della bilancia estera e il conseguente crescente indebitamento americano perché lo considera la locomotiva del suo sviluppo, vuol dire che accetta non solo di continuare a finanziare gli Stati Uniti, ma anche di correre il rischio (che Samuelson considera certezza se non si agisce per tempo) di un gran botto valutario che polverizzerà le proprie attività in dollari e farà precipitare nella Seconda Grande Crisi l'economia mondiale.
Le soluzioni possibili sono: passare alla moneta unica globale, insistentemente richiesta dal Nobel Robert Mundell, o, se la sua realizzazione fosse impossibile, tornare ai cambi fissi, il tutto accompagnato da un accordo internazionale che congeli o almeno "raffreddi" il debito in dollari (che, sia ben chiaro, non è solo debito degli Stati Uniti). Ciò renderebbe più stabile il sistema monetario internazionale e consentirebbe agli Stati Uniti un taglio graduale della loro domanda interna con effetti controllabili sullo sviluppo del resto del mondo. Si potrebbe cioè evitare la Hiroshima valutaria e la seconda Grande Crisi. Poiché nel programma economico della riconfermata Amministrazione Bush il problema viene completamente ignorato, prepariamoci al peggio. Questo peggio consiste, per gli Stati Uniti, nell'accumulare altra disistima politica, come se già non bastasse quella che patiscono per altri aspetti del loro agire; per il resto del mondo un nuovo ciclo negativo che renderà inevitabile il protezionismo, cura peggiore del male.
Resta la speranza che, di fronte a questi possibili sviluppi, gli Stati Uniti decidano di sedersi al tavolo per stabilire con i principali Paesi del pianeta un nuovo ordine monetario mondiale, usando la propria potenza economica per arrestare la folle corsa verso l'esplosione del dollaro e del sistema monetario internazionale. Mi auguro che agli europei non venga la tentazione di infilare il proprio collo nella mannaia, sostituendo l'euro come valuta di riserva. Il problema non è il dollaro, ma il regime monetario internazionale basato sul duplice ruolo di una moneta nazionale: un tempo la sterlina e da tempo il dollaro. Chi capisce ciò, aiuti gli altri a capire; e chi ha il potere, agisca.


Martedí 09 Novembre 2004

fonte : il sole 24 ore


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