--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Donne che corrono con i Lupi II parte
In un tempo lontano lontano, perduto per sempre,
che mai tornerà, i giorni sono di neve bianca...
e in lontananza i minuscoli granelli sono persone
o cani oppure orsi. Qui nulla fiorisce spontaneamente.
I venti soffiano tanto forti che tutti devono di
necessità indossare giacche a vento e mamleks,
stivali, berretti. Qui, all’aperto le parole si
congelano, e intere frasi devono essere rotte sulle
labbra di chi parla e disgelate accanto al fuoco,
per vedere che cosa è stato detto. Qui la gente vive
nella bianca e abbondante capigliatura della vecchia
Annuluk, la vecchia nonna, la vecchia mamma che è la
Terra stessa. E in questa terra viveva un uomo...
un uomo così solo che negli anni le lacrime avevano
scavato abissi sulle sue guance.
Cercava di sorridere e di stare contento. Andava a caccia.
Accalappiava, e dormiva bene. Ma desiderava tanto una
compagnia umana. Talvolta, quando si avvicinava al suo
Kayak una foca, rammentava le antiche storie sulle foche
ch’erano un tempo esseri umani, e a ricordare quel tempo
restavano gli occhi, capaci di sguardi saggi, e amorosi,
e selvaggi. E allora talvolta sentiva così dolorosamente
la sua solitudine che le lacrime scorrevano lungo i
crepacci del volto.
Una notte cacciò fino a notte fonda senza trovare nulla.
Mentre la luna si levava alta nel cielo e il ghiaccio
brillava, raggiunse un grande scoglio sul mare, e su
quell’antico scoglio al suo sguardo penetrante apparve
un movimento di grazia eccelsa.
Remò lentamente e silenziosamente per avvicinarsi,
ed ecco che sullo scoglio possente danzavano delle donne,
nude come il giorno in cui le madri le avevano partorite.
Era un uomo solo, i suoi amici umani erano un ricordo
soltanto, sicchè rimase a guardare.
Le donne parevano essere fatte di latte di luna, con la
pelle punteggiata d’argento come i salmoni in primavera,
e piedi e mani sottili e leggiadri.
Tanto erano belle che l’uomo rimase sbalordito sulla sua
imbarcazione, mentre le onde leggere la trasportavano
sempre più vicino allo scoglio. Sentiva ora le magnifiche
risa delle donne... quanto meno, pareva ridessero, o era
forse l’acqua intorno allo scoglio che rideva? L’uomo era
confuso, perché era abbagliato.
La solitudine che gli era pesata sul petto come come una
pelle intrisa d’acqua era in qualche modo svanita, e senza
riflettere, quasi così dovesse essere, saltò sullo scoglio
e rubò una delle pelli di foca che vi giacevano. Si nascose
dietro uno spuntone e infilò la pelle di foca nel suo qutnguq,
la giacca di pelliccia.
Ecco che subito una donna chiama con la più bella voce che mai
avesse udito... come quella delle balene all’alba... oppure,
forse più simile a quella dei lupacchiotti che ruzzolano a
primavera... anzi, era ancora più bella, ma non importa...
perché che cosa andavano facendo ora le donne?
Infilavano la loro pelle di foca, e una dopo l’altra le
donne-foca scivolavano nel mare, urlando e uggiolando felici.
Una no.
La più alta cercava per ogni dove, ma non riusciva a trovare
la sua pelle di foca. L’uomo prese coraggio, e neanche sapeva
perché. Le si mostrò:"Donna... sii mia moglie. Io sono...
un uomo... così solo".
"Oh, io non posso esserti moglie", rispose lei. "Io appartengo
agli altri, quelli che vivono temeqvanek, di sotto".
"Sii... mia moglie", insistette l’uomo. "Tra sette estati, ti
restituirò la pelle di foca, e potrai restare o andartene,
come tu vorrai".
La giovane donna foca lo guardò a lungo in volto con quegli
occhi che per le sue vere origini parevano umani. Riluttante
disse:"Verrò con te. Tra sette estati si deciderà".
Ebbero un bambino, e lo chiamarono Ooruk. E il bambino era
agile e grassoccio. In inverno la madre raccontò a Ooruk le
storie delle creature che che vivevano sotto al mare mentre
il padre tagliava a piccoli pezzi un orso con il suo lungo
coltello affilato. Quando la madre portava il piccolo Ooruk
a lettogli indicava attraverso l’apertura per il fumo le
nuvole e tutte le loro forme. Solo che, invece di descrivere
le forme di corvi e orsi e lupi, raccontava storie di trichechi,
balene, foche e salmoni... perché erano quelle le creature
che conosceva.
Ma col passare del tempo la sua carne prese a seccarsi.
Prima si sfaldò, poi si incrinò. Cominciò a cadere la pelle
delle palpebre. E caddero a terra anche i capelli. Diventò
naluaq, del più pallido bianco. Le sue rotondità presero ad
avvizzire. Cercò di nascondere la sua debolezza. Di giorno
in giorno, senza che lei lo volesse, i suoi occhi si offuscavano
sempre più. Doveva camminare allungando il braccio, tastando con
la mano, perché la vista le si faceva sempre più debole.
E così andarono le cose finchè una notte il piccolo Ooruk non
fu svegliato da un urlo, e tutto insonnolito si levò a sedere
sulle pelli del letto. Sentì come il ringhiare di un orso, che
era suo padre che picchiava sua madre. Udì un pianto come di
argento tintinnante sulla pietra, che era sua madre.
"Hai nascosto la mia pelle di foca sette lunghi anni or sono,
ora giunge l’ottavo inverno. Voglio mi sia restituito ciò di
cui sono fatta", gemeva la donna-foca.
"E tu, donna, mi lascerai se te la restituirò", urlava il marito.
"Non so cosa farò, so soltanto che devo avere ciò a cui appartengo".
"E tu mi lascerai senza moglie, e lascerai il bambino senza madre,
sei cattiva".
E il marito strappò la porta leggera e scomparve nella notte.
Il bambino amava molto sua madre. Temeva di perderla e pianse
fino a crollare nel sonno... per essere risvegliato dal vento.
Un vento strano, che pareva chiamarlo:"Ooruk.Oooruk".
Saltò fuori dal letto, tanto in fretta che si infilò la giacca a
rovescio e i mukluk solo a metà. Udendo ripetere il suo nome, si
precipitò fuori nella notte stellata.
Corse alla scogliera e in lontananza, sul mare agitato dal vento,
scorse una grande foca argentea e irsuta... dalla testa enorme, con
le vibrisse che scendevano fino al petto, gli occhi di un giallo scuro.
"Ooooooruk".
Il bambino a fatica discese giù lungo la scogliera e in fondo
incespicò su una pietra, no, un involto, rotolato giù da una
fenditura della roccia. I capelli gli sferzavano il volto come
fossero di ghiaccio.
"Oooooooruk".
Il bambino aprì l’involto e lo scosse, era la pelle di foca di
sua madre.
Oh, sentiva tutto il suo odore. E mentre stringeva fra le braccia
la pelle di foca e se la portava al volto e ne aspirava la fragranza,
l'anima della madre lo attraversò come un improvviso vento d'estate.
"Ohhh", esclamò con dolore e con gioia, e di nuovo si portò al volto
la pelle e di nuovo l'anima della madre attraversò la sua.
"Ohhh", esclamò di nuovo, perchè era stato colmato dell'infinito
amore di sua madre.
E la vecchia foca argentea,,, lentamente si immerse nelle acque profonde.
Il bambino si inerpicò su per la scogliera e corse con la pelle di
foca che gli svolazzava dietro, e si precipitò in casa. Sua madre
lo accarezzò, e accarezzò la pelle, e socchiuse gli occhi, grata
perchè entrambi erano salvi.
Infilò la sua pelle di foca. "Oh, madre, no!" urlò il bambino.
Lei sollevò il piccolo, se lo mise sotto il braccio, e corse, di
tanto in tanto inciampando, verso il mare ruggente.
"Oh,madre, non lasciarmi", implorò Ooruk.
Ed ecco, lei voleva, voleva proprio restare con il suo bambino, ma
qualcosa la chiamava, qualcosa di più antico di lei, di più
antico del tempo.
"Oh, madre, no, no, no" urlò il bambino. Si volse verso di lui
con uno sguardo di terribile amore negli occhi. Prese il viso
del bambino tra le mani, e soffiò il suo dolce respiro nei
suoi polmoni, una volta, due volte, tre volte. Allora,
tenendolo sotto il braccio come un involto prezioso, si
tuffò in mare, sempre più in fondo, e la donna-foca e il
suo bambino respiravano agevolmente sott'acqua.
E scesero nuotando sempre più in fondo, fino a raggiungere
la grotta delle foche dove creature di ogni genere banchettavano
e cantavano, danzavano e parlavano, e la grande foca argentea
che aveva chiamato Ooruk nella notte abbracciò il bambino e lo chiamò nipote.
"Come sono andate le cose lassù, figlia?" domandò la grande foca
argentea.
La donna-foca guardò in lontananza e disse:"Ho ferito un essere
umano... un uomo che ha dato tutto per avermi. Ma non posso
tornare da lui, perchè se lo facessi resterei prigioniera".
"E il bambino?" domandò la vecchia foca. "Il mio nipotino?".
Lo disse con tanto orgoglio che la voce le tremò.
"Lui deve tornare. Non può fermarsi. Non è ancora tempo che
resti con noi". E pianse. E insieme piansero.
Passarono alcuni giorni e alcune notti, per l'esattezza sette,
e in quel tempo gli occhi e i capelli della donna ritrovarono
l'antica lucentezza. Diventò di un bel colore bruno, ritrovò
la vista, il suo corpo ritrovò la sua rotondità, e potè
nuotare a suo agio. E venne il tempo di restituire il bambino
alla terra. Quella notte, la vecchia nonna foca e la bella
madre del bambino nuotarono tenendolo in mezzo a loro.
Risalirono, risalirono dalle profondità verso il mondo di
sopra. Là, al chiarore della luna, delicatamente poggiarono
Ooruk sulla riva petrosa.
La madre lo rassicurò:"Sarò sempre con te. Tocca quel che
ho toccato, i legnetti per accendere il fuoco, l'ulu, il
mio coltello, le le incisioni che ho fatto sulla pietra di
lontre e di foche, e io soffierò nei tuoi polmoni un vento
perchè tu possa cantare le tue canzoni".
Più volte la vecchia foca argentea e la sua bella figlia
baciarono il bambino. Infine, a fatica si allontanarono e
al largo, con un ultimo sguardo al bambino, scomparvero
sotto le onde. E Ooruk, siccome il suo tempo non era
ancora venuto, rimase.
Passò il tempo, e diventò un grande suonatore di tamburo,
cantore e artefice di storie, e si disse che tutto ciò
accadde perchè da piccolo era sopravvissuto ed era stato
riportato dalle profondità del mare dagli spiriti delle foche.
Ora, nelle grigie brume del mattino, talvolta lo si vede
ancora, con il suo Kayak ancorato accanto, ripiegato in
ginocchio su una certa roccia del mare, mentre pare
parlare con una certa foca che spesso si avvicina alla riva.
Molti hanno cercato di catturarla, ma nessuno c'è mai riuscito.
E' nota come Tanqigcaq, la brillante, la sacra, e si dice
che sebbene sia una foca, i suoi occhi sono capaci di
sguardi umani, saggi, selvaggi e amorosi.
Comments:
Posta un commento